Capita, a volte, che si realizzino
interviste per testate che poi, all'ultimo momento, non le pubblicano
perché fanno altre scelte editoriali. Mi è successo qualche tempo
fa: una testata nazionale mi ha chiesto un'intervista alla scrittrice
Camilla Läckberg, grande
dama del noir svedese, il tempo di dirmi
quanto doveva essere lunga e poi la chiamata dalla redazione: "Non scriverla
perché salta, abbiamo cambiato la pagina". Ho aspettato un po',
ma non mi è stata più chiesta e ho deciso di pubblicarla lo stesso, qui, su Rotta su Torino. Cosa c'entra con la città? È stata realizzata nello stand della
Marsilio Editori, durante il Salone Internazionale del Libro di Torino (e
potrebbe essere un'idea per il futuro).
Lei, Camilla, è stata
brillante, pronta e gentile, il libro,
La gabbia dorata, può essere
una bella lettura sotto l'ombrellone (piacerà probabilmente più
alle donne che agli uomini, ma non dico ovviamente perché).
-
Lasciata Fjällbacka e lasciati Erica Falck e Patrick Hedström,
protagonisti della sua celebre saga, sbarca nella Stoccolma più
glamour e più rampante, per raccontare la storia di Faye e Jack, una vicenda di violenza
domestica e rinascita. Come è avvenuto il passaggio da Erica a
Faye?
È stato un passaggio di cui avevo bisogno. Uno scrittore
deve lasciare di tanto in tanto la sua zona comfort e mettersi alla
prova con altre storie, ma questo non vuol dire che ho abbandonato
Erica e Patrick, so che torneranno, si sono solo presi una pausa,
come me.
- Tra Erica e Faye c'è in comune la violenza: Erica la
scopre nelle sue indagini, Faye la subisce dal marito brillante e
autoritario. Perché è un tema che ritorna nei suoi libri, cosa la
interessa?
È un tema che mi fa arrabbiare moltissimo. Trovo ci sia
tanta vigliaccheria in un uomo che picchia i bambini o le donne:
almeno scegli uno della tua taglia! Ho due figlie, una delle due è
già adolescente e mi preoccupa molto pensare all'uomo che
incontrerà. È difficile accettare che un uomo possa essere
aggressivo con una donna e non parlo solo della violenza fisica, ma
anche di quella psicologica, delle pressioni che esercita, del
tentativo di controllarla. Sono forme di violenza che tutte abbiamo
conosciuto.
- Faye è più brillante e più preparata del marito
Jack, abbandona gli studi affinché lui possa fondare la propria azienda, finanziandolo con il proprio lavoro.
Essendo convinta della responsabilità individuale, non posso dare le
responsabilità di simili scelte ad altri che non siano chi le
compie. Ma perché noi donne arriviamo a fare rinunce? È una
sindrome della mamma mal interpretata?
Ho voluto che Faye fosse una donna brillante e intelligente, per evitare lo
stereotipo secondo cui questo tipo di rapporti riguardi solo le donne più
deboli. Io penso che sia parte della nostra natura più profonda
amare, accudire, perdonare. E la violenza psicologica avviene sempre
attraverso piccoli passi, pensando che quando si dà si riceve poi
qualcosa in cambio, ma non è così. Per me la responsabilità che
ognuno ha verso se stesso è un punto fondamentale: non apprezzo le
femministe, che tendono a dare tutta la responsabilità all'uomo. Se
scegliamo di rimanere a casa ad accudire i figli e dopo vent'anni il
matrimonio fallisce, non possiamo scendere dal pero. Dobbiamo essere
prudenti e consapevoli nelle scelte che facciamo. Sono concetti
fondamentali anche nell'educazione dei nostri figli. Alle mie due
figlie insegno a fidarsi prima di tutto di se stesse, devono essere
economicamente indipendenti, insisto molto su questo. I miei due
figli sanno che devono trattare le donne con rispetto, perché
altrimenti c'è per loro un biglietto di sola andata per la Siberia
-
Colpisce anche la figura di Jack, che fa pensare più a qualche
manager rampante appena uscito da qualche film su Wall Street che
alla Svezia socialdemocratica, attenta ai valori collettivi. Quando è
successo che la Svezia ha perso la sua innocenza, per un'influenza
così forte dei valori più spietati del capitalismo?
Oh, è
successo tanto tempo fa. La Svezia ha all'estero un'immagine che non
corrisponde sempre alla realtà, anche la nostra società ha molti
problemi e anche da noi la globalizzazione ha portato squilibri e
cambi di valori con cui dobbiamo fare i conti. Ma quel tipo di
comportamento e di violenza, direi che è arrivato in Svezia diversi
decenni fa, non è una novità degli ultimi anni.
- Jack e Faye,
sono stati ispirati da persone che ha incontrato e storie che le
hanno raccontato mentre preparava il libro?
No, non direi, ho
ascoltato tante storie, ma ho costruito entrambi basandomi su
esperienze che ho visto intorno a me. Quel tipo di violenza
psicologica, è piuttosto comune: c'è una donna che non ha avuto un
marito, un amante, un fratello, un padre che non ha tentato di
controllare la sua volontà e di condizionarla? Non bisogna andare
lontano per scoprire che le donne devono lottare per mantenere il
controllo della propria vita. La cosa molto interessante per me è
stato vedere le diverse reazioni degli uomini e delle donne al libro,
che spiega anche il diverso approccio che abbiamo alla violenza
domestica. Gli uomini che hanno letto il libro o che mi hanno
intervistato dicono che i personaggi non sono realistici, che uno
come Jack non esiste. Ma se tutte lo abbiamo conosciuto! Può essere
stato un padre, un fratello, un amico. Le donne hanno invece accolto
La gabbia dorata con sollievo, si sono riconosciute nelle piccole
violenze quotidiane, non si sono sentite più sole
- Senza fare
spoiler, La gabbia dorata propone una vendetta femminile pure perfida e spietata. Non c'è
il rischio di invitare le donne a farsi giustizia da
sole?
Chiaramente no! Ovviamente non incito alla vendetta, è solo
un simbolismo letterario, però sì invito le donne a riprendersi il
potere, a imparare a respingere le situazioni negative. Anche
fantasticare possibili vendette può essere utile a livello
terapeutico. Ma la cosa che mi è davvero piaciuta è stata ribaltare
provocatoriamente le parti. Nei libri e al cinema vediamo
continuamente uomini che si vendicano, addirittura uccidono, hanno
amanti più giovani, ma se è una donna che decide di vendicarsi, è
rivoluzionaria! Faye rompe tanti codici di comportamento anche perché
voglio dimostrare che le regole non sono uguali per gli uomini e per
le donne.
- Una delle cose belle del libro è anche la forte
solidarietà tra le donne, che è uno dei temi che ritornano nella
sua letteratura. Ci crede?
Mi piacerebbe. In Svezia sono
piuttosto attiva sui social, su Instagram mostro momenti della mia
vita personale e la cosa che mi colpisce sempre è che le critiche
più feroci sul mio modo di essere donna e di essere madre mi
arrivano dalle donne. Se vado via per qualche giorno per la
presentazione dei miei libri e i miei figli rimangono con il padre,
vengo criticata come una madre degenere: perché? I miei figli sono
accuditi e rimangono con il padre, se fosse il contrario, se fosse
lui ad andare via per presentare i suoi libri, ci sarebbero tante
critiche? Se solo imparassimo a essere solidali tra noi, come lo sono
gli uomini tra loro, il mondo sarebbe nostro.
- Dalla Svezia
arriva una figura di donna che sembra resistere a qualunque tentativo
di controllo e che, giovanissima, ha già imparato a esercitare il
proprio potere: Greta Thurnberg. Rappresenta davvero la gioventù
svedese? C'è davvero quest'attenzione al cambio climatico nelle
giovani generazioni svedesi?
Sì, i giovani hanno una sensibilità
fortissima su questi temi. Lo vedo in casa mia, mia figlia è molto
attenta al riciclo e al riuso; è appassionata di moda e c'è un'app
con cui può vendere e acquistare vestiti di seconda mano. Ha
un'attenzione che io alla sua età non avevo.
- Al Salone
Internazionale del Libro ci sono state polemiche per la presenza di
una casa editrice di estrema destra. Cosa ne pensa?
È
successa la stessa cosa un paio di anni fa alla Fiera del Libro di
Goteborg, lì decisero di lasciare l'editore di estrema destra, ma io
trovo più corretta la scelta di Torino. Va bene la libertà di
opinione, ma esporre in una Fiera non è un diritto. Alle ultime
elezioni svedesi l'estrema destra ha ottenuto il 18% dei voti e io
sono molto delusa dai miei compatrioti: come si può credere a chi
offre slogan semplici a problemi complessi?
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