Per una
polmonite, facilitata probabilmente dal
COVID-19 che sta cambiando la
vita dell'Europa in questi giorni, è
morto a Milano
Vittorio
Gregotti. Aveva
92 anni ed è stato
uno dei più grandi architetti
del Novecento italiano, dividendosi tra la libera professione,
l'insegnamento, il pensiero teorico, il dibattito e la divulgazione.
Quando si dice il suo nome, a
Torino, si pensa inevitabilmente al
Piano Regolatore del 1995, da lui firmato
con gli architetti Augusto
Cagnardi e Pierluigi Cerri. Un Piano Regolatore pensato per
una città
già post industriale, che doveva fare i conti con la crisi della sua
identità, dopo i decenni dominati dalla Fiat e dall'industria
automobilistica; in quegli anni la Grande Fabbrica aveva già di
fatto
abbandonato Mirafiori Sud, iniziando a produrre in altri Paesi
che le garantivano il basso costo della manodopera, e la crisi
industriale aveva prodotto numerosi siti industriali abbandonati nel
territorio cittadino. L'
eredità più visibile di quel piano è
la
Spina Centrale, che da Largo Orbassano porta fino a corso Grosseto,
attraversando la città da nord a sud (volendo, da Largo Orbassano si
arrriva poi a corso Agnelli, corso Unione Sovietica e giù, fino alla
periferia meridionale della città, mentre a Nord, superato corso
Grosseto, si entra nella bretella per l'Aeroporto di Caselle); una
spina ricavata
dall'operazione più grandiosa compiuta nella Torino
di fine secolo,
l'interramento della ferrovia Milano-Torino, che
rappresentava
una ferita e una barriera del tessuto cittadino, tra i
quartieri orientali e occidentali della città.
Nel progetto del
Piano Regolatore del 1995, la Spina Centrale doveva diventare il
t
empio del terziario e degli spazi verdi, che avrebbero sostituito o
riutilizzato i grandi stabilimenti industriali abbandonati. È andata
così per l'
ex Materferro, diventata il Parco Mennea, per le
OGR,
trasformate in un importante centro culturale, per il
distretto siderurgico lungo la Dora, sostituite dal Parco Dora e dalle nuove
residenze intorno a lui. Al centro della Spina, la
Stazione di Porta
Susa, che doveva diventare la più importante di Torino,
snodo e
collegamento del traffico ferroviario e metropolitano, di quello
sotterraneo e di superficie. A sottolinearne l'importanza, dovevano
esserci
due torri, risposta della città alle due che avrebbero
aperto la Spina Centrale, all'arrivo da Milano; l'idea delle
quattro
torri la spiega Cagnardi
in un'intervista a la Repubblica, con cui si
celebravano i 20 anni del Piano Regolatore: "Si voleva
ristabilire la prospettiva, elemento caratterizzante
dell'architettura torinese: per questo si era pensato di collocare
quattro torri sulla Spina, due nel primo tratto e due a Porta Susa.
Si è costruito invece
un grattacielo, un unico "focus",
che riassume in sé le altre quattro costruzioni ipotizzate: e addio
prospettiva. Ma la città non è fatta solo di fuochi principali:
certo, ci sono Superga e la Mole, ma gli uffici di una data società,
per quanto illustre, non rivestono la stessa importanza".
Non
è l'unica ombra del piano (ma da torinese che ama il profilo barocco
della città e che non identifica il futuro con torri di vetro uguali
a quelle che si possono vedere a Shanghai, Londra o Panama, sono
contenta che non siano state costruite ulteriori torri).
Le critiche
posteriori lamentano
la trasformazione residenziale della Spina
Centrale, seguendo le logiche del mercato; poi
la scarsa attenzione agli edifici industriali,
destinati alla
demolizione, come se si volesse voluto in qualche
modo cancellare il passato industriale della città (l'esempio che
viene immediatamente in mente è
l'asse di corso Vigevano e corso
Novara, fino al Po, dove numerosi edifici industriali sono stati
demoliti o di fatto abbandonati, dalle
Officine Grandi Motori in
poi). È stato un Piano, raccontano i critici ormai 25 anni dopo, che
non ha dato futuro e vocazione ai quartieri densamente popolati e
senza servizi di zona, che non fossero nei pressi della Spina
Centrale, a cui sono andate le principali attenzioni.
Adesso
modificato da decine di varianti, il Piano Regolatore del 1995 cerca
di dare regole a una città che ha
perso abitanti rispetto ad allora,
che
non ha le risorse economiche con cui quel piano era stato pensato
(basti pensare agli eterni lavori nel Parco Dora, il più ambizioso
di tutti i nuovi parchi cittadini o alle lentezze nella realizzazione
del Sistema Ferroviario Metropolitano) e che
non ha saputo rispettare
tante aspettative di allora (la Spina Centrale avrebbe dovuto essere
come la sua prima sezione, che si muove tra terziario e residenziale,
con opere d'arte e decori studiati ad hoc; le due sezioni seguenti
sono semplicemente un'arteria di collegamento, senza particolari
attenzioni decorative). Anche per questo l'attuale Giunta Comunale aveva
pensato a
modifiche "dal basso", da realizzare dopo aver
dialogato con i cittadini (da cittadina che delega le decisioni con
il proprio voto,
non apprezzo particolarmente chi non si assume le
responsabilità e preferisce trasferirle al "basso", che
non ha le competenze adeguate né la visione di futuro richiesta alla
classe dirigente).
Vedremo cosa succederà, ma, tra luci e ombre,
Vittorio Gregotti lascia a Torino una bella eredità, ambiziosa e
multifunzionale, tocca alla città darle futuro adeguato.
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